Gli Zignoni
Se nel periodo che corre approssimativamente dalla seconda metà del Quattrocento alla fine del Seicento i Boselli possono essere considerati la "mente" che regolò la vita civile e religiosa del nostro paese, gli Zignoni rappresentano indubbiamente il motore trainante della nostra economia in quell'ampio arco di tempo.
Mancano, purtroppo, riferimenti precisi circa la loro provenienza e l'anno del loro insediamento a S. Giovanni Bianco; sappiamo, comunque, che nel tardo Trecento essi si erano ormai stanziati definitivamente nel nostro territorio.
La Roncaglia Fuori, che assumerà più tardi la denominazione di "contrata de Zignonibus", fu sicuramente la sede primitiva di quella famiglia, un "ramo" della quale si trasferì successivamente a Grabbia e a Briolo: non dimentichiamo che Vistallo Zignoni risiedeva proprio in quest'ultima contrada.
Glí Zignoni furono essenzialmente ricchi possidenti dí terreni e di edifici adibiti agli usi più svariati, ma mentre quelli di Grabbia si dedicarono prevalentemente all'agricoltura e al commercio, praticato, quest'ultimo, principalmente a Venezia, quelli della Roncaglia Fuori intrapresero, pare verso la fine del XV secolo, un'attività, a quel tempo molto più redditizia, lavorando il ferro in alcune "fucine" che essi avevano costruito sulla sponda destra del Brembo, in una zona che prendendo inizio a tergo della chiesa parrocchiale, dirimpetto alla contrada dei Molini, si spingeva un poco più a valle del Ponte Vecchio, per arrestarsi nel punto in cui il torrente Enna si getta nel fiume.
In numerosissimi atti notarili rogati nel Cinquecento e nel Seicento si parla espressamente delle fucine degli Zignoni. Anzi, in tutti questi documenti è inequivocabilmente indicato il luogo dove esse erano collocate e, molto spesso, vi sono dettagliatamente descritti persino i "macchinari", i mobili e gli utensili in esse esistenti...
Sulla base di queste precise indicazioni possiamo pertanto affermare che le fucine erano esattamente tre, due "grosse", situate nelle adiacenze del ponte (una posta "sopra" il ponte stesso, l'altra "sotto... verso la Brembilla"), mentre la terza, un po' più piccola, chiamata per questo "il fosinetto", si trovava dietro la chiesa, di fronte ai Molini.
In questa veduta ottocentesca sono raffigurate in primo piano le diverse ruote dei magli idraulici delle fucine degli Zignoni
Nelle tre fucine erano in funzione diversi magli, alimentati da un canale che prendendo acqua dal Brembo a monte dell'abitato e acquistando gradatamente quota, si portava quasi all'altezza del ponte, passava sotto l'arcata del medesimo e svoltava poi subito a destra per azionare le ruote della fucina "inferiore".
Il ferro utilizzato nelle fucine degli Zignoni proveniva principalmente dai forni di Fondra, Branzi e Carona, nei quali veniva "lavorato" il minerale estratto dalle miniere di Cambrembo, di Carisole, di Fondra e del Monte Sasso, ma sappiamo che una parte giungeva anche dalla Valle di Scalve e da Valbondione.
Dopo essere stato a sua volta "purgato" dal fuoco, il ferro era ridotto in "massi" per mezzo del "maglio grosso". Nuovamente arroventato, veniva infine trasformato, con l'aiuto di un maglio più piccolo, chiamato "maiolo" o "assotigliatore", in verghe di varia forma e lunghezza, a seconda degli usi cui erano destinate.
Gli Zignoni erano però abilissimi nella produzione di una verga particolare, molto più sottile, chiamata "vergella" o "verzellina", dalla quale si ricavavano chiodi, che era largamente richiesta ed esportata anche all'estero.
Nel Cinquecento le "nostre" fucine operavano a pieno ritmo, favorite in questo dalla larga disponibilità di materie prime, dalla crescente richiesta del prodotto lavorato e, soprattutto, dalla presenza sul territorio di una manodopera esuberante, alla quale non si erano ancora aperti altri orizzonti e che si accontentava di un salario assai magro, corrisposto molto spesso, per giunta, in natura.
Ciò spiega l'ingente fortuna accumulata dagli Zignoni, la cui famiglia divenne ben presto una delle più facoltose della Valle.
Più tardi, accentuatosi l'esodo verso Venezia, i vuoti lasciati dagli emigranti venivano man mano colmati da nuovi fabbri, molti dei quali provenivano da paesi che in fatto di fucine la sapevano lunga...
Durante quel secolo si avvicendarono alla guida dell'azienda Donato Zignoni, il figlio Prospero e il figlio di questi, Pompeo, che ne tenne saldamente in mano le sorti anche per tutta la prima metà del Seicento e che può essere considerato, a ragione, l'ultimo grande "mercante di ferrarezza", come egli stesso amava definirsi, della nostra Valle.
L'impero della” ferrarezza”, che gli Zignoni della Roncaglia Fuori terranno saldamente in pugno per circa tre secoli, crollerà, però, in modo inglorioso alla fine del Seicento.
Gli Zignoni scompariranno dalla scena del nostro paese nella prima metà del secolo successivo, dopo aver venduto quanto sarà loro rimasto.