IL MAESTRO

di Gozzi Licia

Mi avvio verso la macchina con passo stentato, mentre una trepidazione crescente mi assale come sempre mi succede quando mi appresto ad incontrare persone che appartengono al mio passato, talvolta remoto, e che sono entrate in modo significativo nella quotidianità della mia infanzia, mai rievocata con sguardo scientificamente obiettivo, mai scevra da nostalgiche pennellate di colore che la memoria, suo malgrado, ammette e legittima, quasi a voler acuire il contrasto con la realtà che mi circonda, fatta di piccoli drammi che una maturità poco gaudente spesso porta in eredità.

Oggi tutte queste sensazioni sono temperate dal sentimento di affetto e di ammirazione che da sempre ho nutrito verso di Lui, Il Maestro, fino da quando, all’età in cui si inizia ad apprendere con approccio talvolta diffidente, talaltra incuriosito (ma non meno sofferente per quel senso di costrizione che accompagna l’abbandono di un’età ludica), sedevo tra i banchi di scuola in quell’aula in cui, al suo vigoroso richiamo, il chiasso delle vivaci grida dei compagni scemava, per lasciare posto alla sua voce autorevole e rassicurante.

Salutata la moglie sui gradini di casa, salgo le scale e raggiungo l’entrata; dietro la porta compare Lui ed è già un sollievo vederlo, sorridente, compiaciuto, ma non meno commosso, il che attribuisce a quella figura magra e abbronzata, resa ancor più fiera dal grigiore argenteo del capo, una straordinaria umanità.

Iniziamo a parlare di ciò che facciamo, delle nostre giornate, delle nostre occupazioni quotidiane, cercando di cogliere, attraverso questi discorsi, i desideri, le speranze e gli ideali che oggi ci animano, frutto di esperienze che hanno segnato le nostre vite in questi ultimi vent’anni e di cui noi oggi, nel nostro sentire e nel nostro pensare, rappresentiamo la sintesi perfetta.

Quando Lui parla ho la sensazione di tornare, per alcuni istanti, agli anni della scuola: ricordo che rimanevo per ore ad ascoltarlo, senza che l’irrequietezza mal soffocata dei compagni più vivaci potesse distogliermi dai suoi discorsi, senza che il trascorrere delle ore potesse attenuare il mio interesse: ricordo come amassi le sue espressioni cosi concrete, limpide, efficaci, coronamento ideale di lezioni che erano intrise del suo amore per la cultura, quella cultura che iniziavamo allora ad assaporare e che Egli, conscio del ruolo che avrebbe avuto nelle nostre vite, sapeva trasfondere in noi gradualmente, nel modo più intrigante ma, allo stesso tempo, accompagnato da una severità che incuteva non già timore, ma un rispetto istintivo.

Tutto ciò riaffiora nei miei pensieri mentre, seduta in questa calda cucina in cui il paiolo ribollente lascia intuire un pranzo domenicale rallegrato da un’aurea e rassicurante polenta, nel rispetto della più autentica tradizione bergamasca, Egli, rivestiti i panni del maestro, parla di quando suo padre andava a raccogliere il carbone in Francia …

Si è fatto tardi, ed in questa fredda domenica d’autunno, una sensazione di gelo mi percorre al pensiero che dovrò lasciare questa casa ed il calore che per qualche ora vi ho ritrovato.

Ci salutiamo sull’uscio senza che l’incontro, per entrambi caro, abbia sollevato il velo di commozione malcelata che, timidamente, compare sui nostri volti al momento del commiato.

 

Li, 29 ottobre 1995